domenica 20 aprile 2014

Yi quan, il grande pugilato (parte 2)


Wang Xiang Zhai
Nella scorsa puntata abbiamo riassunto, in sintesi, la vita di Wang Xiang Zhai, il fondatore dell'Yi quan. Diversamente dagli stili più antichi, che si perdono tra leggenda e biografie tramandate oralmente, per il Dachengquan (l'altro nome con cui è conosciuto questo metodo), abbiamo la fortuna di avere una notevole quantità di informazioni dirette, essendo il suo fondatore vissuto fino al 1963. Molte le interviste e i libri dati alle stampe sotto la sua supervisione, nei quali si spiega come e perché sia arrivato a sintetizzare un nuovo sistema di combattimento, per molti aspetti in contrasto con quelli tradizionali. 

All'interno di questo materiale documentaristico, le interviste rilasciate alla fine degli anni Trenta alle testate Shibao (實報) e Xinminbao (新民報) hanno un ruolo speciale, perché per la prima volta il maestro spiega non soltanto alcuni principi della sua arte, ma esprime anche un giudizio molto accurato – e aggiungiamo spietato – sul panorama marziale cinese dell'epoca. Non a caso, come abbiamo scritto nella puntata precedente, gli articoli fecero molto rumore nel mondo del wushu, spingendo diversi maestri di stili tradizionali a confrontarsi, quantomeno a parole, con Wang. Questi testi sono ancora disponibili e negli ultimi anni sono stati anche tradotti nella nostra lingua. Pur ripetendosi in alcuni passaggi – naturale, trattandosi di più interviste distinte – sono di grande interesse per tutti gli appassionati di kung fu tradizionale, se non altro come spunto per una riflessione personale sul metodo e la didattica del proprio stile. Wang, come noto, contesta il wushu dell'epoca, sostenendo in pratica che si fosse persa (già allora, figuriamoci oggi) la natura delle vere arti marziali. Il suo giudizio, peraltro, non è generico, ma specifico: Wang scende nel particolare dei diversi stili per valutarne i pregi (pochi, a suo dire) e i (molti) difetti.
Per questo motivo, al termine di questa serie di articoli troverete un link da cui scaricare il pdf della traduzione italiana delle celebri interviste. Ringraziamo, al riguardo, il Centro ricerche discipline taoiste L'airone (seguite il link per saperne di più) che ci ha autorizzato a usare il materiale.

Il pensiero di Wang
Tuttavia, siccome il documento conta una decina di pagine, scritte fitte e pure in caratteri piccoli, abbiamo pensato di riportare, di seguito, alcuni dei passaggi più significativi, a beneficio di chi non abbia voglia di leggersi il testo per intero ma sia comunque interessato a ciò che contiene (e tutti gli appassionati di wushu tradizionale dovrebbero esserlo, a ben vedere...). Si tratta degli aspetti fondamentali dell'intervista secondo la nostra interpretazione; se non siete convinti di essa, non vi resta che attendere la prossima puntata e poi scaricare l'intero pdf.
Cominciamo con l'analisi dell'esistente: ai tempi di Wang, ovviamente, ma tante delle sue affermazioni, come si vedrà, potrebbero essere trasportate direttamente ai giorni nostri ed estese ben oltre la Cina...

Il decadimento marziale
Uno degli aspetti su cui Wang spende le parole più dure, nelle sue interviste pechinesi, è il livello di preparazione dei combattenti dell'epoca. Siamo, ricordiamolo, nel 1940, epoca in cui le arti marziali tradizionali non erano più, da tempo, uno strumento di sopravvivenza. 
I boxer, nella rivolta omonima
“Spero che tutti i praticanti siano in primo luogo praticanti sani – dice Wang – e non imbonitori che vagano di città in città per ingannare con trucchi e bugie. Purtroppo oggigiorno nemmeno un pugile su cento ha qualcosa di corretto nella sua formazione; anzi sinceramente penso che molti sbaglino proprio tutto, completamente. So che molti vivono di quello che insegnano, ma non dovrebbero vergognarsi di continuare ad apprendere da altri dopo aver intrapreso l’insegnamento (…).
I pugili non sanno bene dove sia in realtà il vero spirito della boxe; (…) molti sono gli insegnanti che sono lontani dalla verità così come il paradiso lo è dalle profondità dell’oceano”.
Wang critica anche l'abitudine, molto radicata nel tempo, a studiare minuziosamente genealogie e storia del wushu: “La conoscenza o meno della storia della boxe è un fatto irrilevante; quello che conta è verificare se un metodo risponde alle numerose necessità del vivere”. E poco più avanti ribadisce: “Durante gli ultimo vent’ anni ho visto fiorire moltissime palestre con la pretesa di allevare le arti marziali, maggiore è la pretesa più grande il fallimento (…). La scienza del combattimento è allo sbando”. In diversi momenti, Wang ribadisce inoltre che insegnare il pugilato (ovvero le arti marziali) per molti maestri è la sola fonte di sostentamento e dunque essi sono verosimilmente più attaccati al denaro che al desiderio di conoscere la vera arte della boxe.

La critica agli stili
Già 75 anni fa il panorama marziale cinese era bene o male quello di oggi, nel senso che tutti gli stili tradizionali erano già strutturati e insegnati. Rispetto a essi, Wang Xiang Zhai non è meno duro che con chi li insegna: in buona sostanza li fa a pezzi, uno dopo l'altro, salvandone pochissimi. E, anche questi ultimi, soltanto in alcuni aspetti. Non riportiamo tutto il suo pensiero al riguardo, ma soltanto ciò che dice a proposito dei due stili praticati nella nostra scuola, il Meihuaquan e il Taijiquan.
Wang, da esperto di stili interni (aveva iniziato praticando lo Hsin Yi quan) è particolarmente severo con il Taiji: “Originariamente questa boxe consisteva di soli tre pugni chiamati anche "i vecchi tre tagli". Mr Wang Zongyue cambiò il metodo in "tredici posizioni" e successivamente divenne lo stile delle cento quaranta o cento cinquanta posture, da qui un'ovvia distorsione del metodo.
Per la parte terapeutica è solo un modo di reprimere la mente e lo spirito con il solo risultato di portare sconforto al praticante. Per il combattimento (...) si riduce in una dannosa perdita di tempo. Riguardo al metodo di pratica un colpo con un pugno lì, e una sberla con il palmo là, un calcio a sinistra e un altro a destra, è solo miserabili e ridicolo. Di fronte a un combattente con esperienza o un nemico veramente motivato non prendete nemmeno in considerazione queste pratiche, perché, salvo che il vostro avversario non sia stupido e rigido, in un confronto reale anche i più grandi esponenti di questa arte soccomberebbero sicuramente (...). Questi abusi sono talmente diffusi che presto il taijiquan diventerà solo un arido manuale di scacchi”.
Chen Xin, criticato da Wang

 Nella successiva intervista, il fondatore dell'Yi quan torna sull'argomento Taiji: “Ricordo uno scritto di Zhang Sanfeng che affermava: "abbandonare completamente il proprio corpo è sbagliato, ma ugualmente sbagliato è fissare (concentrarsi/bloccarsi) troppo il proprio corpo. Taijiquan ha forme composte da cento quaranta o centocinquanta posture , non sono forse tutte collegate a precisi e definiti allineamenti corporei che necessitano grande concentrazione, e poi a che cosa servono? Lo spirito deve essere sempre attento a come si muove il corpo e quindi di certo non può essere libero”.
La parte di intervista dedicata al Meihuaquan è molto più ridotta e, in realtà, anche meno negativa: “Il Meihuaquan, anche conosciuto come wushizhuang, ha una linea diretta che è stata trasmessa da generazione a generazione, in particolare nelle province dell'Henan e dello Sichuan. Il loro metodo è diverso nell'approccio , ma ugualmente soddisfacente nei risultati di quello dei praticanti di wujisanshou di Fuzhou, Xinghua, Quanzhou, Shantou, e altri luoghi. Hanno i loro punti di forza nel confronto con un nemico, purtroppo molti di loro sono unilaterali e solo alcuni veramente completi”.
In generale, Wang contesta tutto il metodo di studio degli stili tradizionali, basato sulla ripetizione di forme prestabilite, quasi sempre in esecuzioni individuali: “Coloro che si allenano seguendo gli scritti altro non sono che ciechi condotti da ciechi. Infatti praticando secondo le indicazioni di un libro si possono cogliere le cristallizzazioni di tutte le possibili teorie senza prestare attenzione alla posture e all'intenzione formale”. Più avanti ribadisce: “Se un praticante sempre si intestardisce nell'apprendere movimenti e sequenze meccaniche, si allena con un compagno o rotea la lancia
alla ricerca di bellezza e armonia, pensando che ciò rappresenti l'eccellenza nell'arte del combattimento... (…) Questo è veramente terribile, un' intera vita sprecata per non comprendere assolutamente nulla”.
Secondo Wang, la scienza del combattimento è una sola, a prescindere dalle scuole: “La teoria della boxe non deve presentare distinzioni tra cinese e non cinese, tra nuovo e vecchio. L'unica cosa importante è la verifica sulla applicabilità o meno, sulla giustezza o meno degli insegnamenti”.

La sfida
La verifica pratica delle teorie è un caposaldo, per Wang Xiang Zhai. Tanto è vero che invita in più occasioni i maestri contemporanei a metterlo alla prova, non soltanto sul piano teorico: “Nonostante il combattimento sia solo un aspetto limitato, purtroppo senza di esso i risultati non possono essere verificati, per questo sono pronto a cimentarmi in un amichevole scontro di combattimento”.
In precedenza, Wang era stato anche più chiaro: “Non vedo l’ ora di confrontarmi amichevolmente in combattimento con questi individui, e anche nel caso non risultassero in grado di combattere non verranno accolti da insulti e non divulgherò la loro reale condizione per non danneggiare i loro affari. Addirittura andrò io personalmente a fare visita a tutti coloro che non possono muoversi e porgerò loro rispetto per verificare i loro insegnamenti. Farò pubblicità a tutti coloro che avranno anche un bagliore di verità nel loro insegnamento, e se non ci saranno punti forti comunque non sparlerò di loro, tacerò”. In altre parti dell'intervista, il maestro dice apertamente che pochissimi si sono presentati per questo “confronto” e che qualcuno che lo ha fatto “ora conosce la realtà della sua preparazione marziale”.

O. R.

2 – Continua
(nella prossima puntata, il metodo Wang)

2 commenti:

  1. Questa "storia" mi sta intrigando sempre di più!! Non vedo l'ora di leggere la prossima puntata

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  2. Concordo! Ora attendiamo il film.. o almeno il trailer, poi il resto proveremo a svilupparlo in pratica, come vorrebbe Wang! GB

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