giovedì 1 maggio 2014

Yi quan, il grande pugilato (parte 3)


Il M° Wang in zhan zhuang
Wang Xiang Zhai, maestro di Xing yi quan, poi fondatore di un metodo basato sia sul suo stile di provenienza sia sull'esperienza marziale accumulata vagando per la Cina del primo Novecento, spiega il suo metodo a due giornali di Pechino. Dapprima analizza gli stili tradizionali, giudicati ormai inefficaci e privi di sostanza. Sfida i maestri dell'epoca a misurarsi con le sue teorie e sostiene di essere impegnato per il ritorno del wushu all'antica purezza: “Sono ormai vecchio e non mi interessa la ricerca della fama o del guadagno personale. Quello che veramente mi interessa è cercare con i miei compatrioti di ritrovare la moralità e la naturalezza istintuale delle arti marziali prima di diventare troppo vecchio, in modo da contrastare coloro che fanno del male agli altri e a se stessi con i cattivi insegnamenti”, è la premessa alle interviste di cui, ora, proponiamo gli ultimi estratti.


Il metodo dell'Yi quan
Dopo aver seguito Wang nella demolizione degli stili contemporanei, vediamo cosa propone il maestro in luogo di forme e tecniche prestabilite. Il suo metodo, come noto, si basa su pochi principi e nessuna tecnica preordinata. “La salute e l’ autodifesa sono elementi imprescindibili e inseparabili l'uno dall’altro (…). In primo luogo si deve assolutamente allenare e fortificare lo spirito, il temperamento e l’istinto naturale, solamente dopo potremo affrontare il problema dell’allenamento dei nervi, degli arti e del tronco durante i vari movimenti. Il primo gradino nell’allenamento e nello studio è l’esercizio dei nervi (...). Successivamente si apprenderà la prova e la verifica della forza (shili) e della voce (shisheng). Il terzo livello riguarda l’autodifesa”. Questa, in sintesi, la didattica del Dachengquan per bocca del suo fondatore. Entriamo più nel dettaglio, seguendo sempre il maestro Wang.
Tipica posa di zhan zhuang
 La pratica di base. “Nella vita di oggigiorno, per ottenere risultati dall’allenamento si pratica sempre: mentre si cammina, si sta in posizione eretta o reclinata. Tutto parte dal corretto apprendimento del metodo del palo eretto (zhan zhuang). Correggere in modo adeguato la postura di tutto il corpo nel suo insieme, rimanere in posizione eretta senza pensieri, rinforza i nervi nell’immobilità, regola la respirazione, riscalda e nutre la muscolatura, lascia che naturale sia l’attivazione cellulare. La forza viene dall’interno e si trasmette all’esterno naturalmente in tutto il corpo nel suo insieme. Per questo un praticante non allena volontariamente ossa e muscoli in quanto si allenano da soli, il nostro compito è l’osservazione e la percezione di tutti quei movimenti scarsamente percettibili che naturalmente si attivano nel nostro corpo. (…) Chi vuole realmente ottenere dei risultati stupefacenti nell’ arte della boxe deve innanzitutto dedicarsi alla pratica del palo eretto (zhan zhuang, ndr)”.
Le prove. “Le prove di forza (shili ndt) sono indispensabili nella pratica e facendole si imparano correttamente le fondamenta del movimento (...). Provando la forza si realizza e si comprende come usarla.
In primo luogo si deve rende uniforme la forza in tutto il corpo, i muscoli devono essere agili, e le ossa in grado di sostenere l’ architettura del corpo; solo in questo modo si può passare alla contrazione, allungamento, rilassamento e tensione sempre assecondando il naturale movimento del corpo nel suo insieme. La forza proviene dall’interno e viene emessa all’esterno.
Nel movimento la lentezza è migliore della velocità (per apprendere, aggiunge il traduttore); e sempre si deve rimanere rilassati, non impazienti, il movimento deve essere “sottile” e lo spirito forte e focalizzato. (…) Si deve partire dalla precisa percezione se la forza del corpo nel suo insieme e “omni-pervadente” oppure no, allo stesso tempo si deve capire se si è in grado di reagire “all’atmosfera” che cambia oppure no; si deve percepire se si è in grado di emettere la forza in ogni punto e in qualsiasi momento verso ogni direzione sempre impedendo alla mente di rompersi e allo spirito di disperdersi. Sempre si deve essere ingrado di emettere la forza in modo duro o soffice; quando una parte del corpo si muove tutto il corpo la segue. La forza è consistente e si risolve nel pieno e nel vuoto, nel duro e nel soffice (…). Le sei direzioni su e giù, avanti e indietro, destra e sinistra non devono essere mai ignorate. In conclusione ciò che non conduce a comfort, felicità, ottenimento della forza non merita di essere chiamato boxe”.
Combattimento Yi quan
Il combattimento. “Si deve comprendere che il piccolo movimento è migliore del grande movimento, e che il piccolo movimento e peggiore dell’immobilità; solamente l’immobilità rappresenta il movimento continuo e senza fine”. I termini, come si vede, sono quelli soliti, propri degli stili interni e ricordano da vicino i principi del Taijiquan. “Il vero movimento risiede
nell’immobilità, è muoversi senza far percepire che ci si sta muovendo”, sostiene Wang.
Assai noti – e tradizionali – anche i principi seguenti. Per esempio, quando sostiene che “il cervello deve condurre il movimento e le piccole e grandi articolazioni con i rispettivi legamenti estendersi e contrarsi mutuamente, il fulcro deve essere solido come l’acciaio ed essere in grado di avere la forza di torsione e di esplosione nelle direzioni opposte, il movimento ruota attorno al centro e lo muove in modo bilanciato ed equilibrato; la potenza esplode in un tutt’uno con il respiro. Se tutto questo può essere controllato a piacere le basi del combattimento non sono difficili da comprendere”.
Il metodo per arrivare a questi risultati è quello descritto sopra: “La pratica incessante rende naturale e non difficile la sua realizzazione. (…) Fondamentale è la comprensione dei vari tipi di forza e il loro controllo da parte del corpo e della mente. (…)
Avere forza senza ricorrere alla tensione unilaterale rappresenta avere la forza, ma non usarla; allo stesso tempo quanto si usa, involontariamente la si accumula. Questa è la vera e devastante forza istintiva”.

Il metodo scientifico
A differenza della maggior parte degli stili oggi conosciuti, il Dachengquan nasce attorno al 1930, quando il metodo scientifico occidentale era già ben sviluppato e stava rivoluzionando il mondo con le sue scoperte. Wang non può ignorarlo ed ecco dunque che il suo pugilato cerca di conciliare i principi tradizionali con le scoperte della medicina e della fisica occidentali: “La scienza aiuta infinitamente la comprensione dei principi del combattimento, ma allo stesso modo il combattimento non può essere limitato solo a questo. (…) In conclusione si dovrebbe, grazie alle conoscenze e alle condizioni di oggigiorno, aggiungere un atteggiamento scientifico allo spirito della scienza del combattimento”.
Ecco quindi come affronta uno dei sacri crismi del kung fu: il Dan tien, ovvero il punto di accumulo dell'energia vitale: “Nell' addome ci sono gli intestini, lo stomaco, e il fegato, non c'è alcun "luogo" in cui depositare il qi. Per quanto riguarda gli effetti della forza sono tutte risultanti della matrice del controllo delle forze opposte, della forza esplosiva, e delle forze dell'universo (intese come gravità e inerzia, ndr). Tutto ciò non ha assolutamente nulla a che vedere con quello che le
persone chiamano il qi del qi gong. (…) Per poter essere completamente libero di agire e di raccogliere la forza, la mente e il corpo devono essere profondamente "liberi", il praticante deve sentirsi comodo e naturale: questo è ragionevole”.

O. R. 

3 - Continua 
(nell'ultima parte, analisi del metodo Yi quan)

Per scaricare il pdf dell'intera intervista, clicca qui (ringraziamo il centro di ricerca l'Airone)

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